La norma, e la giurisprudenza consolidata, hanno ormai chiarito che il lavoratore in stato di malattia può più o meno fare qualsiasi cosa purché le sue azioni non pregiudichino od anche solo ritardino la guarigione. Per assicurarsi della regolarità del suo comportamento, il lavoratore può essere sottoposto a visita domiciliare sia su richiesta del datore di lavoro sia su iniziativa dell’INPS. Per questa ragione, in determinate fasce orarie della giornata (10-12 e 17-19), egli ha l’obbligo di restare presso il domicilio da lui stesso indicato, al fine di essere reperibile in caso di visita fiscale. Ma cosa succede se il medico non trova in casa il lavoratore?
1)Perdita dell’indennità di malattia, fino a 10 giorni (in caso di assenza al primo controllo);
2)Decurtazione del 50% dell’indennità di malattia (in caso di assenza al secondo controllo);
3)Perdita totale dell’indennità di malattia (in caso di terza assenza al controllo);
4)Sanzioni disciplinari, che possono comprendere anche il licenziamento per giusta causa.
La Suprema Corte [ sent. 64/2017] ritiene che la permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo, costituisce non già un onere bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l’assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento sia nei confronti dell’istituto previdenziale sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e, perciò, a controllare l’effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione. L’allontanamento anche per ragioni legittime non esclude l’obbligo per il lavoratore di comunicare di volta in volta l’assenza per consentire all’azienda di controllare, tramite l’Inps, l’effettività della sua malattia.
